Mi piacciono i libri ma (non chiedetemi perché) non li leggo. L’ultimo, che (non) ho letto, è Ex libris, opera iperrealista dell’architetto Giovanni Corbellini. Il libro è geniale soprattutto perché è un non-libro che chiede, rispettoso della propria (contro) natura, di non essere letto. E io l’ho letto, incoraggiato dalle asciutte schede dell’autore, e ho preferito aggirarmi lungo gli affollati margini e all’ombra dei poscritti traendone a grandi sorsi informazioni fresche, utili memorie e accostamenti inusitati. L’estratto di titoli e autori esala a piene gote dalle pagine (gialle), e fa risuonare per l’aria una congerie di nomi esotici e illustri, di concetti audaci e nuovi, di parole d’ordine allusive e seducenti.
Avevo sottovalutato, prima di questa (non) lettura, il potere immaginifico e radiante che può avere un frammento, anche minimo, della biblioteca universale, e l’energia evocativa dei nomi e dei titoli. Tra le mille suggestioni alcune confermano, e consolidano, i libri che si sono citati con frequenza ossessiva, come lo stupendo e definitivo (titolo) Secolo breve di Hobsbawm (cognome di sonorità rara), mentre altre inseguono corrispondenze vaghe eppure potenti. Per esempio, i fortunati autori che iniziano con H emergono come una casta di privilegiati, come commercianti che hanno a disposizione un’insegna più luminosa: al citato (ineguagliabile) Hobsbawm si aggiunge il famoso Habraken, nome rauco e non dimenticabile, col suo promettente, anche se vagamente altero, The Structure of the Ordinary. Saltiamo poi i classici – l’elenco comprende la coppia d’artisti Klee & Kandinski e l’immenso Franz Kafka, il polveroso Emil Kaufmann, il tormentone Koolhaas e la pur mirabile americana Rosalind Krauss perché vogliamo giungere in fretta al clou di questa sezione, due test decisivi della sillabazione anglosassone: Kwinter, che per giunta di nome fa Stanford ed è un intellettuale avanguardista, e l’eccezionale Kwon Miwon (cognome e nome in quest’ordine), esotico esemplare di W in rima baciata. Sfiorando il mitico Huizinga, inventore di Homo Ludens, e l’ineguagliato Constant, giungiamo al vertice, molto provvisorio, della piramide olandese, con le sigle giovani e aggressive di MVRDV (giustamente ridimensionati in Mvrdv) e NLarchitects.
I nomi si susseguono a ritmo saltellante e qualche volta lasciano il passo a titoli folgoranti, terreno che vede un certo predominio della narrativa, rappresentata poco ma bene da Infinite Jest (di David Foster Wallace) e da Le correzioni (di Jonathan Franzen). Ci riporta verso l’architettura il miglior titolista di settore, Rem Koolhaas, col suo geniale Small, Medium, Large, Extralarge, abbreviato nell’acronimo tessile S, M, L, XL, e con l’ultima pseudo-rivista “Volume” che, in obbedienza alla natura provocatoria del promotore, propone un derisorio annientamento dell’architettura.
Continuando il viaggio ai margini (del testo), incontriamo altre consumate star dell’intellighenzia del novecento: J.-P. Sartre e gli aristocratici Foucault, Deleuze e Derrida (+ Baudrillard e - Barthes, assente), un Marshall MacLuhan d’annata, la sempiterna Jane Jacobs e l’assiduo Guy Debord, convitato di pietra che arriva per primo e, muto come un pesce, non se ne va neanche morto. Ma questo non è che l’inizio: restano ancora molti altri autori, una piccola folla di architetti, artisti, intellettuali e agitatori di varia natura che animano, da protagonisti o come fuggevoli comparse, il palcoscenico della cultura contemporanea.
Giovanni Corbellini, Ex libris. Sedici parole chiave dell'architettura contemporanea, 2007