12/29/2010

Architettura giapponese: Jun Igarashi


98 mq: la casa costruita da Jun Igarashi a Hokkaido, in Giappone, è completamente di legno ed è anche completamente introvertita, raccolta intorno alla doppia altezza centrale.
Se Le Corbusier immaginava il soggiorno a doppia altezza come un duplicato interno della loggia affacciata sul paesaggio, lo spazio centripeto di Igarashi riproduce un altro esterno, quello raccolto e intimo del giardino domestico giapponese.
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12/28/2010

Architettura giapponese: Ryue Nishizawa














Ryue Nishizawa, Teshima Art Museum.
A new kind of space... in or outside? 
Good ideas are for ever place, for anytime.

Joseph Cornell's boxes

Simpsons looking at Cornell's boxes


Alison Smithson d'après Joseph Cornell







Nel 1988 Alison Smithson disegnò una serie di contenitori, su stelo, ispirati alle “scatole” dell’artista americano Joseph Cornell, che esponeva piccole collezioni di oggetti raccolti per le strade di New York. I contenitori di Smithson sono oggi in produzione da Tecta.

12/27/2010

Wikileaks Headquarters

Wikileaks Media Building


Si è parlato molto, a partire dall’età elettronica, di edifici mediatici, facciate interattive, comunicazione e nuovi paesaggi e scenari urbani.
La pubblicazione degli uffici svedesi di Wikileaks, 1200 mq nel cuore di Stoccolma, progetto del 2008 di Albert France-Lanord, mostra un altro tipo di rapporto tra architettura e informazione, forse più sincero e interessante.
L’informazione è merce preziosa e sensibile e va protetta e nascosta come i lingotti d’oro nel caveau di una banca o come il vino delle migliori annate nelle cantine dell’Ile-de-France. E confortata con arredi di design, come la sedia Chair One di Konstantin Grcic, produzione Magis.


12/23/2010

Nuova architettura milanese: Italo Rota

Un'altra ottima notizia:
il 5 dicembre si è aperto il nuovo Museo del Novecento nel palazzo dell'Arengario, in piazza Duomo, Milano, opera di grande qualità architettonica, sebbene quasi impossibile da fotografare, di Italo Rota (con Fabio Fornasari e, per gli interni, Alessandro Pedretti).
Sul cappello, una riedizione del fantastico ghirigoro al neon di Lucio Fontana: esatto!

Nuova architettura milanese: Cino Zucchi






Un'ottima notizia:
è stata inaugurata (nel luglio 2011) a Sesto San Giovanni (Milano) la nuova chiesa "Resurrezione di Gesù", progetto di CZA - Cino Zucchi Architetti con Helena Sterpin, Filippo Carcano, Cinzia Catena, Silvia Cremaschi, Cristina Balet. Strutture: Mauro Giuliani.


Di CZA vedi anche il nuovo Museo dell'automobile, a Torino.

12/21/2010

Le pillole del dott. Corbellini

                                                                                                             Ai miei studenti molto PAZIENTI



“Se il vostro ideale abitativo  è la casetta con il tetto a falde, il camino che fuma, la porta e due finestre sul fronte, il nanetto in giardino, probabilmente avete sbagliato facoltà”. Docente di lungo corso e ottimo padre di famiglia, il dott. Corbellini (lo conosco bene, è un caro amico con cui abbiamo condiviso numerose esperienze di insegnamento) conosce le insidie della didattica, i vezzi e le contraddizioni degli aspiranti architetti. Ancora giovane e sportivo, non ha dimenticato i turbamenti della fase postpuberale e le ansie da prestazione degli studenti, e per loro confeziona un libretto che si può definire delizioso e che merita anche qualche altro complimento. Per esempio, l’ironia è la strada maestra di un rapporto, tra docenti e studenti, su cui grava la convinzione (che condivido totalmente) che “l’architettura si impara ma non si insegna”, e dove il docente è soprattutto un coach che stimola e sprona. In qualche circostanza, come questa, occorre fare una riflessione in più e, con tutte le cautele del caso, bisogna vestire i panni del saggio, del guru, del maestro che ne ha viste tante e che si permette di alzare il dito e di fare la predica. Oggi sembra vincere l’idea dell’esempio, dell’atto dimostrativo che vale più di ogni discorso ma, come sa chiunque abbia insegnato, questo non solo non è sufficiente ma è anche poco accessibile agli studenti. Se noi rimaniamo affascinati dal neofuturismo di Rem Koolhaas, dalla sapienza sperimentale di Herzog & De Meuron o dal talento di Kazuyo Sejima, spesso gli studenti sono più cauti e freddi di noi, non capiscono o non sono così interessati alle alte vette dello star system che copiano anche con una certa malavoglia (e hanno ragione!). Perciò, i maestri servono, perché servono le parole di chi gli studenti li conosce bene e di chi ha la pazienza di prendersene cura da vicino, nel faticoso universo della progettazione universitaria. 

12/17/2010

Architettura Low Cost / Low Tech

è uscito in due edizioni, italiana e francese, il libro

Architettura Low Cost Low Tech, Sassi editore
Architecture Low Cost Low Tech, Editions Actes Sud


recensioni e informazioni su:
Actes Sud (www.actes-sud.fr/catalogue/resultats?field_ref_coll_nid=3616











progetti di
A12 (Genova Milano)
Adamo Faiden (Buenos Aires)
Alejandro Aravena (Santiago de Chile)
Atelier Tekuto (Tokyo)
David Atkinson (Palo Alto)
Charles Barclay (London)
Davidson Rafailidis (Berlin)
Shuhei Endo (Osaka)
FARE Studio (Roma)
Bostjan GabrijelcicPeter Gabrijelcic (Ljubljana)
Vicente Guallart (Barcelona)
Rabih Hage (London)
Interboro (New York)
Junya Ishigami (Tokyo) 
JPRCR arquitectos (Caracas)
Totan Kuzembaev (Moscow)
Lacaton et Vassal (Paris)
David Mastálka/ A1Architects (Praha)
MOS (New Haven, CT)
Plan B (Medellìn)
Arne Quinze (Bruxelles)
Sanei Hopkins (London)


12/05/2010

Elemental


Nel deserto cileno, il progetto ha lo scopo di rialloggiare un centinaio di famiglie che, per circa trent'anni, ha occupato quel terreno con baracche abusive. Si tratta di novantatre abitazioni di 25 e 36 metri quadrati (i materiali sono il cemento, i blocchi di cemento e pannelli di legno per i divisori interni) che si possono raddoppiare con l'autocostruzione. La tecnologia è semplice e molto economica, il finanziamento è quello concesso dalle politiche per la casa, un sussidio di 7500 dollari con cui bisogna pagare il terreno, le infrastrutture e l'architettura. Una cifra che, nell'edilizia cilena, corrisponde al costo di costruzione di 30 mq. Per alloggiare tutte le famiglie, si è scelto di utilizzare una tipologia più densa, rispetto alle case isolate, e meglio espandibile, rispetto alle case a schiera, dove l'aggiunta di una stanza toglie aria e luce alla casa e obbliga a usare una stanza come vano di passaggio. E vista l'insufficienza del budget, si è deciso di costruire soltanto la base e la copertura di un sistema che poi dovrà crescere in autonomia.

11/20/2010

la prossima Biennale di Venezia

Su Abitare Web Fabrizio Gallanti contesta duramente il padiglione italiano all'ultima biennale e pone questioni che secondo me, magari in modo più sommario, ci siamo posti in tanti.
Perlomeno, abbiamo subito il fatto che la mostra richiede tempi ed energie superiori rispetto alla già lunghissima passeggiata Arsenale + giardini.
Penso che Luca Molinari dovrebbe rispondere, penso che il fatto che di queste cose non si discuta sia un indicatore molto esplicito del problema.
Condivido assolutamente i suggerimenti di Salvatore d’Agostino: in Italia i personaggi, i fenomeni e i luoghi interessanti abbondano. Salvatore cita Armani a Dubai e il progetto di riconversione urbana della fiera di Milano Citylife.

Per la prossima Biennale 2012 propongo tre temi:

- il rapporto tra smaltimento dei rifiuti e paesaggio italiano;

- indagini, idee e progetti per rimediare al disastro idrogeologico: Messina (vedi il lavoro di Marco Navarra), VIcenza e Padova, Riviera di Ponente, ecc.;

- archeologia: gestione e progettazione dei siti archeologici. Un tema di rilevanza internazionale ben oltre il recente infortunio di Pompei;

Alla prossima Biennale manca solo un anno e mezzo, le polemiche e le discussioni possono essere una utile base di discussione per chi farà il prossimo padiglione Italia.
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11/08/2010

Eleonora Baggio Compagnucci sull'Incompiuto siciliano



Eleonora Baggio Compagnucci
Una conversazione informale con Alessandro Rocca a proposito del lavoro di Alterazioni Video sull'Incompiuto siciliano

D: Il tema dell’incompiuto può essere affrontato da molteplici punti di vista: urbanistico, normativo, paesaggistico, storico e quindi il primo tema che vorrei affrontare con lei è quello delle rovine contemporanee. Decidere di creare un parco archeologico dell’incompiuto è una provocazione?
R: Certo, è una provocazione. È una provocazione avanzata da un collettivo di artisti; l’arte contemporanea mi sembra sia sempre provocatoria e mi sembra che provocatori ne siano gli effetti. La provocazione e lo scandalo sono nella natura dell’arte contemporane che, facendo scandalo, rivela delle potenzialità, fa esplodere delle contraddizioni e le rende produttive, creative, generative.

D: E’ una fotografia di un’Italia poco virtuosa, un’azione rivolta solo all’opinione pubblica o anche alle amministrazioni?
R: Penso che il messaggio al mondo politico sia un effetto collaterale. Un partito con un certo tipo di obiettivi avrebbe potuto (e forse dovuto) organizzare questo archivio di opere incompiute, invece l’hanno fatto degli artisti quindi il significato politico dell’operazione è, in un certo senso, più forte, perché non strumentale, ma anche più generale. Secondo me, non è un’operazione rivolta agli amministratori e neppure ai cittadini, ma è un messaggio per chi lo vuole cogliere, come è giusto che sia per l’operazione artistica che è sempre un atto necessariamente disfunzionale, per tutti e per nessuno. Quindi Incompiuto siciliano lancia un messaggio svincolato da obiettivi immediati, e ovviamente maggiore è il numero di persone che è in grado di riceverlo e più il messaggio ha peso e importanza. E il lavoro di Alterazioni sull’Incompiuto ha avuto echi all’università, sul piano politico, sul piano dell’opinione pubblica, della stampa, etc. etc.

D: Dal punto di vista del paesaggio che cosa succede? Non è un ribaltamento dei canoni estetici e architettonici a cui siamo legati?
R: Non saprei, credo che la questione dell’abitudine sia molto relativa, ognuno ha i suoi paradigmi culturali. Tendenzialmente, per me il punto di vista estetico non esiste; esiste invece il punto di vista progettuale, cioè azioni come questa sono interessanti e importanti nel momento in cui annunciano una dimensione progettuale e il lavoro di Alterazioni Video è importante perché è pre-progettuale. E’ qualcosa che trasferisce questi oggetti, questi luoghi, questi paesaggi da una situazione contemplativa a una situazione operativa, li rimette in campo e quindi, in un certo senso, la loro operazione chiede un progetto e questa è la cosa importante. Penso che la dimensione estetica sia molto pericolosa, penso che sia un terreno scivoloso.

D: Nel manifesto dell’Incompiuto si parla di monumento, il termine non viene usato in senso improprio, in questo contesto?
R: Oggi il monumento può esistere solo in negativo, come memoria, reperto, residuo di atti ed eventi che appartengono alla sfera del tragico (credo che la centrale nucleare di Chernobyl, in abbandono, potebbe essere il massimo monumento del secolo passato). Le opere incompiute sono dei condensatori di memorie proprio in quanto progetti non conclusi e, in quanto effetti di un processo distorto, hanno un valore di monito, di memoria, e impediscono che fatti decisamente indegni di un paese civile scompaiano nell’abitudine e nel disinteresse.
L’altra questione indubbia è quella che Alterazioni Video chiama la questione archeologica, cioè quel carattere che si manifesta quando un’architettura - e questo vale sempre - esce dalla dimensione funzionale oppure, in certi casi più frequenti di quanto si possa immaginare, non vi entra neppure.

D: Il problema, rispetto all’archeologia industriale, è proprio questo, che queste architetture non sono mai entrate in uso, l’uomo non se ne è mai appropriato per le funzioni che erano state assegnate loro.
R: E’ esatto e tutto questo le rende delle architetture al cubo, cioè appartengono a quella classe di edifici che, passando direttamente dalla fase della costruzione alla fase della decostruzione, sono delle iper-architetture, oggetti e luoghi che parlano solo di architettura perché non gli è mai stata data la vita che deriva dall’uso, dalla presenza delle persone. Perciò sono dei monumenti, qualcosa che non appartiene al flusso quotidiano della vita ma ne sta ai margini e acquista, per qualche ragione, un significato particolare.

D: È un esperimento o comunque una manifestazione collettiva che avrà delle ricadute anche su altri ambiti? Può essere un esempio virtuoso per il Sud Italia dove comunque, oltre la Sicilia, la densità delle opere incompiute è notevole?
R: Si e no; anche questo sarebbe uno degli effetti collaterali forse auspicabili ma non credo che faccia parte del progetto; anche, se forse è nelle intenzioni di Alterazioni Video, che pensano di poter innescare un processo che poi si dissemina in altri luoghi e in altre città, e questo certamente è possibile. Però è anche vero che l’operazione è forte nel momento in cui è singolare, cioè nel momento in cui ha una sua unità di tempo e di luogo per cui non so quanto possa essere ripetibile; è evidente che è un’opera di sensibilizzazione rispetto al problema ma non è facile il passaggio dall’evento alla messa in campo di una metodologia e all’archivio. C’è l’aspetto della sensibilizzazione e della presa di coscienza civile di uno spreco, di un malcostume, di una mala politica, e in più c’è l’idea di immaginare un dispositivo logico che investe dei luoghi negativi, derelitti, e ne prefigura la trasformazione in modo creativo e originale.

D: Abbiamo parlato di questo fenomeno dal punto di vista artistico, architettonico, estetico, ora vorrei parlare del rapporto tra artificiale e naturale, tra il territorio e questi oggetti abbandonati che, a volte, contribuiscono a creare una sorta di paesaggio lunare, alieno. Quale può essere il rapporto tra il naturale e l’artificiale in questi casi?
R: In questi casi, dovendo generalizzare, il rapporto con la natura sta all’interno dell’edificio, cioè nel degrado della struttura. Nel momento in cui un edificio si degrada, in quello stato di abbandono prolungato si viene a stabilire un nuovo rapporto, molto intenso e molto specifico, con la natura, attraverso gli agenti atmosferici e la vegetazione che generalmente lo invade e contribuisce in modo significativo a distruggerlo. Quindi, dentro l’architettura le componenti naturali svolgono un ruolo molto importante. Questo è molto interessante perché è una rappresentazione del nostro rapporto dinamico con gli agenti naturali ed è una rappresentazione anche del rapporto tra la vita e la morte perché l’edificio, in questi casi rappresenta la morte, il residuo inerte di un pensiero costruttivo e funzionale decaduto, e la natura rappresenta la forza viva che, manomettendo e trasformando l’edificio se ne appropria e genera, in modo paradossale e con la complicità del caso, nuove immagini, nuovi spazi, nuove qualità architettoniche.



10/12/2010

Celine Hervé, Infiltrate Nature

Talking about natural architecture.Infiltrate Nature in Housing: the Quest for a Better Habitat
by Celine Hervé

In our changing society, nature is increasingly invited to take place in our lives, but «nature» usually means plant. By applying this term to trees and grass you lose the complex notion of the word, which in itself is completely gear. So by nature we must understand the natural elements, not just the plant but also wildlife, wind, rain and all other physical mechanical or biological properties which is in our natural environment.
I chose to try to tame nature in the home for the well-being with the aim to re-connect man to his environment.
It is a work of co-creation between the designer and nature to bring about a dialogue between man and his natural environment within the habitat. As you say in your book, David Nash talk about a Buddhist maxim who says that "it is better to work with nature to seek to dominate." It is in this context that I want my project to evolve.
Nature as raw material is a concept that previously worked in various fields such as art (the land-art and arte povera), architecture (the land-arch and natural architecture) and design a research context of sustainable projects.
Reconnect with nature through "natural" habitat means working with a changing and living environment, uncertain and sometimes violent. The interest is to reveal that both attention and that is natural around us by a sensitive and effective project that offers a new reading of nature and of our surroundings.
What I want to know about your thinking ...

- Do you think the wind and rain can be used in the construction of a habitat?
Alessandro Rocca: Wind and rain are used in the construction of our habitat. The shape of a roof, the position of the windows… everything in the house design is (and always was) determined in function of the meteo factors. What is new is a change in performance. If before we wanted to delegate every work, every energy, to the machinery, today we accept to make some work by ourselves. It means that we can accept that the climate, in our home, is not totally controlled. That our hot water is not always at the same temperature, that light and humidity can change because of the weather evolution.

- What do you mean by the word nature?
A.R.: For me, nature is the material condition of the project. But I want avoid any form of naturalism. I remember as Alain Roger wrote (in his “Court traité du paysage”) that landscape is a notion totally included in a cultural system. I think that nature, in the same way, is a cultural idea. That is, changing place or time it changes completely. It is enough to confront the traditional architecture in Europe and in Japan for a clear evidence of this point.

- As an architect, is your ideologies-with nature can actually speak in your work?
A.R.: My ideology wants to be very hybrid, very corrupted, in some way, because i really don’t need and don’t trust any ideology. More than an ideology is an idea, which can expand or shorten in function of the occasions, but that keeps in its core something that for me is important and fundamental. It is something related to an idea of human ecology that I understood also trough my frequentation of Gilles Clément. It is something that i cannot reduce in a slogan, in a formula, but that i can recognize when i meet or i find it.

- Do you think there is a link between nature and well-being?
A.R.: Of course, we are natural being, animals without innocence who look for their nature. We have a complicated relation with our animal side, an host which knows us better than ourselves. The link is our neurosis, the disease of the modern man, and woman, lost forever outside the original garden.

- Do you think that man and nature can work together?
A.R.: Yes, of course, but it is a rhetoric that sounds dangerous. I prefer to recognize that we are in a conflict, in a war, against nature, and that we are working to program an exit strategy.

- Or is that nature is the boss?
A.R.: In my opinion, there is no boss, just a chaos of forces and energies which sometimes work together and often conflict. For me, the lonely answer to the question is the project strategy. The project, the point of view of the designer, has the right character to be flexible and assertive at the same time, keeping together the multiple factors of our incoherence.

10/08/2010

Low Cost / Low Tech

15 ottobre 2010, da oggi in libreria


Architettura Low Cost / Low Tech


un libro sull'architettura internazionale alla prova della sostenibilità, della convivialità e della riduzione delle risorse economiche.

9/14/2010

Paesaggio come me

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Verona, 17 settembre 2010, Abitare il tempo
Aldo Cibic, Anna Scaravella, Marco Bay e Marco Ferreri tra design e paesaggio


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5/27/2010

Torino, 27 maggio 2010

Giovedì 27 maggio, 
ore 16.30 tavola rotonda presso l'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino

Relatori: Gilles Clément, Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto, Ettore Favini, Alessandro Rocca, Gaia Bindi e Rocco Curto, saluto di Guido Curto

5/10/2010

Biennale 2010, padiglione Italia

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Il padiglione italiano alla biennale è un po’ come la nazionale di calcio, bene o male ci rappresenta tutti e d’altronde è un’occasione di riflessione collettiva che, se non scade nel regolamento di conti, può essere utile e interessante per tutti.

Mi sembra che, per quanto riguarda l’impostazione delle singole mostre dei padiglioni nazionali, ci siano due o tre regolette che garantiscono comunque un approccio interessante, regole non sufficienti però utili e forse necessarie per operare con trasparenza ed efficacia.

Provo a sintetizzarle in tre punti:
1. Ci vuole un tema preciso, problematico, interessante, glocal (più l’ambito è ristretto e meglio è), cioè importante sia sul piano particolare che generale;
2. Ci vuole un rapporto chiaro tra il curatore, che è una figura di tramite tra i doveri istituzionali e la fase progettuale, gli operatori, gli “ospiti” (spesso è uno solo, come furono Arata Isozaki, Kazuyo Sejima e Junya Ishigami, autori, per il Giappone, di magnifiche installazioni) che, seguendo le linee tratteggiate dal curatore, ne danno una lettura personale, autoriale, fortemente orientata;
3. La mostra è una testimonianza di qualcosa di molto specifico (progetti, ricerche, inchieste) che può presentarsi come una proposizione originale, nuova e provocatoria che punta a rinnovare la cultura architettonica.
Proviamo a specchiare queste regolette nel loro contrario:
1. Un tema indistinto, generico, autoreferenziale, provinciale, slegato da qualsiasi problema reale. Ipotesi che si biforca in due strade alternative ugualmente negative: un tema contenitore, finto, oppure molti temi, troppi, in modo che tutti ci possano trovare qualcosa che, più o meno indirettamente, li riguarda. Di solito il risultato oscilla tra i due estremi del caos ambiguo e poco comprensibile e dell’elencazione di sapore burocratico. Qualche volta si riesce a ottenere i due effetti opposti contemporaneamente, con un gioco di prestigio, un compromesso impossibile tipicamente italiano.
2. Il curatore distribuisce ruoli e responsabilità in una pletora di referenti in un sistema molto complicato. L’unica cosa sicura è la confusione tra curatori e autori e il prevalere della burocrazia più o meno storiografica (elenchi, raccolte di documenti, retrospettive, approfondimenti, di subordinata in subordinata…) sul progetto.
3. La mostra assume come tema il paese che rappresenta: passato, presente e futuro, collegati e gerarchizzati a seconda delle circostanze. E’ una scelta che molti curatori fanno mossi da due ragioni, o perché non hanno niente da dire oppure perché non possono dire niente. Il risultato, almeno secondo i miei ricordi, è sempre una soporifera documentazione di cose mediocri.
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