foto Giorgio Caione
La stanza è disabitata. O, piuttosto, è occupata solo da un animale, in modo consapevole ma indifferente. Gli oggetti dell’uomo, le tracce superstiti, sono una memoria culturale e storica a cui la capra non è per niente interessata. Le sue funzioni vitali, la sua sicurezza possono trovare ricovero anche qui, tra i residui abbandonati di un habitat umano. Quello che avanza, che l’uomo lascia, è un Terzo paesaggio di cui la natura si riappropria. Le centrali esplose e per sempre radiottive di Chernobyl e Fukushima campeggiano nella nostra coscienza come due happening terribili e straordinari. Polvere sei e polvere tornerai, dicono le scritture, ma oltre alla polvere c’è altro, c’è lo spettacolo spaventoso e meraviglioso della natura, anch’essa contaminata e mutante, che vive e trasforma i resti dell’uomo. Il sublime contemporaneo trova nelle centrali atomiche abbandonate l’esperienza più compiuta. In questi luoghi di abbandono e di morte la vita in sé, il puro atto di respirare, di scambiare calore, di lasciare un’impronta sulla polvere, condensa la forza dell’incontro tra la vita e la morte. C’è quindi un erotismo radioattivo che alimenta un turismo di massa, milioni di visitatori sui test-site americani e nel Pacifico; un culto della radioattività che prolifera, nella blogsfera e su youtube, come una polvere finissima che si insinua dappertutto e cambia il colore e il sapore di ogni cosa. |