5/10/2010

Biennale 2010, padiglione Italia

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Il padiglione italiano alla biennale è un po’ come la nazionale di calcio, bene o male ci rappresenta tutti e d’altronde è un’occasione di riflessione collettiva che, se non scade nel regolamento di conti, può essere utile e interessante per tutti.

Mi sembra che, per quanto riguarda l’impostazione delle singole mostre dei padiglioni nazionali, ci siano due o tre regolette che garantiscono comunque un approccio interessante, regole non sufficienti però utili e forse necessarie per operare con trasparenza ed efficacia.

Provo a sintetizzarle in tre punti:
1. Ci vuole un tema preciso, problematico, interessante, glocal (più l’ambito è ristretto e meglio è), cioè importante sia sul piano particolare che generale;
2. Ci vuole un rapporto chiaro tra il curatore, che è una figura di tramite tra i doveri istituzionali e la fase progettuale, gli operatori, gli “ospiti” (spesso è uno solo, come furono Arata Isozaki, Kazuyo Sejima e Junya Ishigami, autori, per il Giappone, di magnifiche installazioni) che, seguendo le linee tratteggiate dal curatore, ne danno una lettura personale, autoriale, fortemente orientata;
3. La mostra è una testimonianza di qualcosa di molto specifico (progetti, ricerche, inchieste) che può presentarsi come una proposizione originale, nuova e provocatoria che punta a rinnovare la cultura architettonica.
Proviamo a specchiare queste regolette nel loro contrario:
1. Un tema indistinto, generico, autoreferenziale, provinciale, slegato da qualsiasi problema reale. Ipotesi che si biforca in due strade alternative ugualmente negative: un tema contenitore, finto, oppure molti temi, troppi, in modo che tutti ci possano trovare qualcosa che, più o meno indirettamente, li riguarda. Di solito il risultato oscilla tra i due estremi del caos ambiguo e poco comprensibile e dell’elencazione di sapore burocratico. Qualche volta si riesce a ottenere i due effetti opposti contemporaneamente, con un gioco di prestigio, un compromesso impossibile tipicamente italiano.
2. Il curatore distribuisce ruoli e responsabilità in una pletora di referenti in un sistema molto complicato. L’unica cosa sicura è la confusione tra curatori e autori e il prevalere della burocrazia più o meno storiografica (elenchi, raccolte di documenti, retrospettive, approfondimenti, di subordinata in subordinata…) sul progetto.
3. La mostra assume come tema il paese che rappresenta: passato, presente e futuro, collegati e gerarchizzati a seconda delle circostanze. E’ una scelta che molti curatori fanno mossi da due ragioni, o perché non hanno niente da dire oppure perché non possono dire niente. Il risultato, almeno secondo i miei ricordi, è sempre una soporifera documentazione di cose mediocri.
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